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MILANO FACE INSTITUTE
FAQ
Lavare i denti: quante volte ? Come? E con che strumenti?
I denti devono essere lavati almeno DUE volte al giorno, per 3 MINUTI ogni volta. Dalle ricerche attuali, non sembra essere possibile mantenere salute parodontale ad un intervallo di frequenza maggiore di 24 h.
Per quanto riguarda la modalità, sono stati descritti in letteratura vari metodi di spazzolamento, a seconda della direzione del movimento prodotto dalla testa dello spazzolino (rotatoria, vibratoria, circolare, verticale, orizzontale e fluido-dinamica). Nei pazienti affetti da parodontite si tende a suggerire una metodica di spazzolamento intra-sulculare, con movimento vibratorio (metodica di Bass Modificata), che sarà certamente spiegata dal Medico che si prenderà cura della vostra bocca.
Il movimento orizzontale, sembra essere il meno efficace e può danneggiare la gengiva (provocando recessioni gengivali e, in taluni casi, ipersensibilità): deve essere dunque limitato alla superficie masticatoria del dente.
Non esiste una verità assoluta relativa alla tipologia dello spazzolino anche se per molto tempo lo spazzolino elettrico è stato consigliato prevalentemente a soggetti affetti da disabilità o parziale abilità nell’uso dello spazzolino manuale. Oggi, invece, grazie ai progressi in campo tecnico-scientifico, è stato possibile ampliare l’indicazione all’uso dei sistemi elettrici a tutta la popolazione, sebbene la letteratura scientifica non abbia evidenziato differenze significative tra i risultati ottenibili con lo spazzolamento manuale ed alcuni spazzolini elettrici.
Cosa succede se non lavo i denti?
Si ha un accumulo di placca batterica che può portare allo sviluppo di patologie cariose o alla compromissione dell’apparato che sostiene il dente, ovvero il parodonto, causando inizialmente una gengivite (reversibile) e, successivamente una parodontite (irreversibile), fino ad arrivare alla caduta degli elementi dentari.
Se la placca non viene rimossa mediante una corretta igiene, si mineralizza portando alla formazione di tartaro: questo è rimovibile solo grazie a strumenti utilizzati dal dentista o dall’igienista.
Inoltre numerosi studi clinici e sperimentali hanno evidenziato la presenza di una forte associazione fra le parodontiti e alcune malattie sistemiche, in particolare malattie cardiovascolari, diabete, patologie polmonari ecomplicanze nel periodo di gravidanza.
A che età la prima visita ortodontica?
Si consiglia di far eseguire la prima visita odontoiatrica approssimativamente a 4 anni.
A questa età infatti, dovrebbe essere completata da un anno la dentatura decidua; inoltre il bambino ha raggiunto un buon livello di cooperazione ed è quindi un buon momento per fargli prendere confidenza e fiducia con l’ambiente odontoiatrico.
La visita seve anche per istruire i genitori sulle regole di igiene orale e di alimentazione da adottare, per controllare la presenza di lesioni cariose e per controllare l’occlusione: già a questa età ci possono essere delle anomalie nell’occlusione di natura strutturale o per disfunzioni, che si devono e si possono, intercettare e curare.
Fare una prima visita ortodontica dopo i 4 anni, quando saranno già nati i primi molari permanenti, potrebbe non avere la stessa valenza.
Alimentazione e salute orale: quali relazioni?
Una corretta alimentazione è alla base del nostro benessere fisico complessivo, compresa la salute di denti e gengive, coinvolti in primis nel processo di assunzione del cibo. La nostra bocca è ricettacolo naturale di una molteplicità di batteri i quali trasformano in acido gli zuccheri presenti nei cibi: gli acidi sono in grado di aggredire lo smalto dentale e provocare la carie.
La maggior parte dei pazienti affetti da problemi di carie é caratterizzata da una dieta ricca di zuccheri e, spesso, da un’igiene orale non adeguata o insufficientemente scrupolosa, fattori che favoriscono la formazione della placca batterica nel cavo orale.
La dieta dei bambini è spesso più ricca di zuccheri rispetto a quella degli adulti, tuttavia, il maggiore pericolo di malattia cariosa risiede nella frequenza con cui gli zuccheri vengono consumati, piuttosto che nella loro quantità complessiva. Bambini abituati a mangiare quantitativi ridotti di cibi zuccherosi, ma in momenti diversi della giornata e senza procedere al successivo spazzolamento dentale, sono più esposti al rischio di carie di coloro che ne concentrano una maggiore assunzione, seguita da una buona igiene orale. Fra gli zuccheri, il saccarosio è quello più facilmente metabolizzato dai batteri del cavo orale: tale processo dura meno di trenta minuti, tempo entro il quale è indispensabile provvedere allo spazzolamento dei denti allo scopo di salvaguardarli dal rischio di carie.
L’igiene orale è fondamentale dopo ciascun pasto. In generale è bene privilegiare cibi con minore apporto di zuccheri raffinati e cibi che richiedono una masticazione più robusta, i quali tendono ad attaccarsi in misura minore ai denti e al bordo della gengiva. La masticazione stessa favorisce il massaggio gengivale ed un maggior grado di detersione orale.
Una corretta educazione alimentare adottata sin dall’età infantile, consente di mantenere nell’adulto una maggiore salute complessiva, proteggendosi dal rischio di molte malattie tipiche dei paesi più ricchi e sviluppati, come l’obesità e il diabete.
A cosa serve fare gli sciacqui con il collutorio?
I collutori non sostituiscono una corretta tecnica di spazzolamento dei denti.
Esistono tuttavia diverse tipologie di collutori, quelli comunemente definiti da banco e presenti anche nei supermercati, possono essere utili come strumenti di prevenzione della carie dentaria.
I collutori che richiedono una prescrizione medica e hanno una più specifica azione antibatterica parodontale, sono di solito utilizzati per brevi periodi legati alla impossibilità di praticare le normali tecniche di spazzolamento dei denti.
Questi ultimi possono avere effetti collaterali dannosi se usati continuativamente per lunghi periodi.
Dente del giudizio: perché toglierlo? A che età? Mi farà male?
Quando un terzo molare non ha sufficiente spazio per erompere completamente o è posto in una posizione anomala si manifesta facilmente un’infiammazione della gengiva, del parodonto profondo, dell’osso e del dente vicino che prende il nome di pericoronarite e che si configura come un quadro clinico definito “disodontiasi del terzo molare”.
I terzi molari inclusi in stretta prossimità di un secondo molare comportano quasi sempre un danno dei tessuti di quest’ultimo e talvolta sono tali da determinarne la perdita. Più tardi si interviene con l’avulsione del terzo molare incluso, più le lesioni a carico del secondo molare potranno diventare irreversibili. La frequente inclusione ossea e mucosa del dente del giudizio nell’età adulta ha radici in tempi molto lontani.
Filogeneticamente, l’assunzione da parte dell’uomo preistorico della postura eretta, il graduale aumento della massa cerebrale e le modifiche nella dieta dall’avvento dei cibi raffinati, hanno determinato una riduzione della grandezza della mandibola e del mascellare superiore cui non si è accompagnata un’adeguata riduzione della dimensione e/o del numero dei denti. Le conseguenze sono rappresentate dalla mancanza di un adeguato spazio lungo le arcate per tutti gli elementi dentali. Da cui un aumento dell’incidenza delle malocclusioni ed una maggiore difficoltà per un’eruzione normale dei denti del giudizio.
I terzi molari vanno controllati a partire dai 14-16 anni. Già a questa età è possibile una precoce analisi sul futuro spazio disponibile per una corretta eruzione dei terzi molari. Il controllo viene effettuato tramite esame radiografico: ortopantomografia e/o tomografia computerizzata (TC DentaScan).
La chirurgia dei terzi molari rappresenta in genere per i pazienti un evento temuto e quindi da evitare o quanto meno da procrastinare nel tempo. Tale atteggiamento non deve ritenersi corretto. Quando esistono problemi a carico dei terzi molari, va ricordato che l’aggravamento della patologia è progressivo. Si deve inoltre segnalare che esiste un consenso generale sul fatto che le complicanze chirurgiche sono molto meno frequenti se si interviene tra i 17 e i 20 anni. A questa età le radici sono formate per due terzi, l’osso è relativamente elastico, il legamento parodontale è lasso e spesso, quindi l’intervento è più semplice e la guarigione post-chirurgica è rapida. Gli studi dimostrano che i pazienti più giovani hanno un decorso operatorio e post-operatorio significativamente migliore rispetto ai pazienti più anziani. L’età ideale per la chirurgia dei terzi molari è tra i 15 e i 25 anni.
La terapia antibiotico-analgesica è indicata contro il dolore causato dal dente del giudizio. Il dolore associato alla pericoronarite è una delle cause più frequenti di avulsione dei terzi molari. L’incidenza della disodontiasi del terzo molare è maggiore nell’arcata inferiore. È possibile una remissione del dolore con un trattamento antibiotico-analgesico, ma è quasi certa l’evenienza che il dolore si manifesterà nuovamente in un futuro prossimo.
Ortodonzia Invisibile: in cosa consiste?
Sono sempre più numerosi i pazienti che si rivolgono allo specialista chiedendo di poter raddrizzare i denti purché l’apparecchio correttivo non risulti visibile.
Attualmente è possibile spostare i denti utilizzando degli apparecchi invisibili.
La terapia consiste nell’utilizzo di una serie di mascherine trasparenti, che devono essere utilizzate in sequenza. Le mascherine riallineano i denti attraverso una serie di apparecchi in polimero trasparente, rimovibili ed invisibili una volta indossati.
Con questo sistema, inoltre è possibile visualizzare, prima ancora dell’inizio della terapia, il progressivo spostamento degli elementi dentari grazie all’utilizzo di un software che elabora immagini in 3D.
È possibile prevenire la carie?
La carie dentale è una malattia che si può in larga parte prevenire.
Un buon programma preventivo comprende sedute di igiene orale, sedute periodiche di controllo, applicazione di fluoro sia professionale che domiciliare (sciacqui, paste dentifricie, ecc.), istruzioni per il controllo domiciliare della placca e suggerimenti dietetici.
I pazienti con superfici radicolari scoperte (recessioni gengivali, pazienti anziani…) sono maggiormente a rischio di carie della radice. Tali pazienti vanno motivati ad una igiene efficace ed alla auto-applicazione di fluoruri.
Un aumentato rischio di carie è, altresì, presente in pazienti che assumono particolari farmaci o il cui flusso salivare, per diverse ragioni, sia ridotto.
Cos’è la “devitalizzazione” del dente? Come si fa? Farà male?
Quando è necessario?
La polpa dentaria, contenuta all’interno del dente, comunemente indicata con il termine di “nervo del dente”, è in realtà un tessuto connettivo altamente specializzato contenente arterie, vene, terminazioni nervose e cellule connettivali.
In seguito ad una carie profonda e relativa contaminazione batterica, oppure in seguito ad un trauma, la polpa va incontro ad infiammazione ed infezione: è il quadro, clinicamente spesso doloroso, della pulpite.
L’infiammazione acuta o cronica (ovvero più o meno rapida nella sua evoluzione) si può propagare al di fuori dell’apice della radice dentaria e diffondersi all’osso alveolare circostante provocando lesioni definite come ascesso o granuloma e visibili in radiografia come un’area scura (rarefazione ossea) intorno all’apice della radice.
In questi casi l’indicazione al trattamento endodontico è assoluta, essendo l’unica alternativa all’estrazione dell’elemento dentario in questione.
Un’altra indicazione al trattamento endodontico è il rifacimento di una precedente cura endodontica mal eseguita o fallita: il ritrattamento endodontico.
In che cosa consiste?
Il trattamento endodontico consiste nella rimozione del tessuto pulpare sia a livello della corona sia a livello delle radici e nella sostituzione del tessuto rimosso con un’otturazione permanente in guttaperca e cemento canalare, previa adeguata sagomatura dei canali radicolari.
Quanto tempo richiede il trattamento? Come viene eseguito?
Il trattamento endodontico è abbastanza lungo, soprattutto per i molari, poiché necessita di una o più sedute secondo i casi. I tempi operativi del trattamento endodontico sono i seguenti:
· Radiografia diagnostica
· Anestesia locale (l’intero trattamento è completamente indolore)
· Ricostruzione provvisoria della corona dentale quando questa è distrutta, allo scopo di lavorare in condizioni ottimali di isolamento del campo operativo
· Isolamento del campo operativo mediante la cosiddetta diga: cioè un foglio di gomma teso da un archetto metallico e tenuto in situ da un uncino metallico
· Apertura della camera pulpare attraverso la corona dentaria
· Ritrovamento del/dei canali. Misurazione della lunghezza del canale (dalla corona fino all’apice radicolare) mediante una radiografia e/o un localizzatore elettronico dell’apice
· La dose di radiazioni assorbite nell’esecuzione di una radiografia ad uso odontoiatrico è minima. Il rapporto rischio/beneficio è altamente a favore del beneficio (cioè una corretta cura endodontica)
· Strumentazione dei canali mediante uno strumentario endodontico che asporta la polpa canalare, i batteri e le sostanze infette, creando nel medesimo tempo una forma a cono, adatta a ricevere il materiale d’otturazione
· Lavaggi con ipoclorito di sodio, potente antisettico, per ottenere un ambiente il più possibile asettico
· Riempimento permanente dei canali con guttaperca, materiale plastico e modellabile con il calore, associato a cemento canalare
· Otturazione provvisoria
· Controllo radiografico per verificare la corretta esecuzione della cura
· Ricostruzione del dente a scopi protesici
Farà male?
Durante il trattamento il dolore è completamente assente grazie all’anestesia locale.
Un indolenzimento, che può essere soggettivamente più o meno lieve, è quasi sempre presente nei due-tre giorni successivi alla cura endodontica: si può ovviare con un qualsiasi analgesico.
In rarissimi casi, in radici particolarmente infette, a causa della mobilizzazione ed al passaggio di batteri oltre apice, può svilupparsi un ascesso, ovviamente doloroso; l’insorgenza di queste complicanze non pregiudica però il successo della terapia endodontica iniziata. In questi casi è necessario il drenaggio dei canali: questo si può ottenere ritornando pochi minuti in studio. Sarà naturalmente cura dell’Odontoiatra associare al trattamento endodontico, qualora lo ritenesse opportuno, la corretta terapia farmacologica.
Cosa si ottiene con il trattamento endodontico?
Il recupero dell’elemento dentario e la possibilità del suo reinserimento (con il restauro protesico) nell’arcata dentaria.
La percentuale di successo di un trattamento endodontico corretto è, in condizioni normali, elevatissima (97%). La percentuale diminuisce nei casi di ritrattamento, quando cioè la cura canalare è già stata effettuata in precedenza ma in maniera inadeguata (cure corte, errori di strumentazione, presenza di varianti anatomiche etc.). In questi casi, comunque, si può intervenire chirurgicamente con l’apicectomia ed otturazione retrograda in modo da aumentare le probabilità di successo.
Di che materiali sono fatte le “otturazioni”?
Le tecniche di restauro conservativo permettono la sostituzione della parte di dente danneggiato con dei materiali che simulano le caratteristiche fisiche del tessuto dentario.
I materiali che vengono utilizzati in questo studio sono le resine composite costituiscono materiali completamente atossici ed estetici (compositi nanoceramici). Hanno la capacità di legarsi al dente con un sistema adesivo che raggiunge la sua massima unione sullo smalto.
Le resine raggiungono la loro indicazione assoluta nelle otturazioni dei denti anteriori dove è fondamentale, oltre al colore, la forma e l’integrazione tra il materiale da otturazione e la parte di dente residuo per raggiungere un perfetto mimetismo ed il ripristino dell’estetica.
Sono soggette, pero’ ad una minor resistenza alla carie secondaria, sopratutto nei punti in cui l’adesione non è direttamente sullo smalto, motivo per il quale risultano essere fondamentali:
- sia il loro posizionamento corretto (che richiede maggior attenzione ed una tecnica operativa più complessa, rispetto all’uso dell’amalgama);
- sia i programmi di prevenzione.
Immagini che mostrano la bontà (estetica e funzionale) dei materiali compositi.
Dal 2008, anno in cui il primo Paese dell’Unione Europea ha bandito l’utilizzo dell’amalgama in odontoiatria, l’utilizzo dell’amalgama di argento come materiale di ricostruzione, è stato, prima ridotto e poi azzerato.
Anche se utilizzata in passato per le sue qualità indiscusse, esistono numerose controindicazioni quali il colore metallico che nel tempo tende a scurirsi con un meccanismo di ossidazione ed il sospetto il fatto che il mercurio, che fa da legante, si possa liberare ed andare a depositare in alcuni organi del nostro corpo ed in qualche caso, determinare l’insorgenza di malattie.
Per questi sospetti ne era stato vietato vietato il loro utilizzo in donne in gravidanza ed in soggetti in età evolutiva dal 2004.
Le estrazioni dentali sono tutte uguali? Sentirò dolore?
L’elemento dentario che più frequentemente viene estratto perché incluso o malposizionato è il dente del giudizio: per questo elemento dentale, spesso, è corretto avere un’indagine radiografica tridimensionale per potere avere una chiara idea di quelli che sono i rapporti con le strutture nobili (nervi e vasi) contigui alle radici del dente in questione.
Tuttavia, anche tutti gli altri elementi dentari, con una frequenza decisamente inferiore, possono richiedere l’avulsione per motivi legati alla loro posizione, a trattamenti ortodontici, per formazione di tasche parodontali o per carie destruenti.
Nei pazienti candidati alla sostituzione di elementi dentari estratti con impianti, è presente l’indicazione a preservare la dimensione dell’osso che accoglieva le radici del dente (alveolo) mediante l’innesto di bio-materiale che ha la funzione di ridurre il riassorbimento dell’osso pre-esistente.
Durante l’intervento estrattivo (exodonzia) non è prevista, né giustificata la sensazione dolorosa poiché il medico effettuare la dovuta copertura farmacologica.
Come si può prevenire una parodontite?
Si possono ammalare di malattia parodontale coloro che non osservano una buona pulizia dei denti e che presentano una predisposizione individuale alla malattia.
Altri fattori, quali il fumo e il diabete, possono favorire tale malattia.
Entrando nel merito del trattamento della parodontite possiamo distinguere, a grandi linee, una terapia causale e una terapia correttiva.
La prima si rivolge alla cura delle cause che determinano l’insorgenza della malattia, la seconda ha come obiettivo la correzione dei difetti da essa provocati.
Date queste premesse, nell’ambito della terapia causale, possiamo e dobbiamo agire su diversi fronti.
Dal momento che esiste una evidente relazione tra la presenza di placca dentale e la comparsa della parodontite, la terapia causale, dal punto di vista clinico-operativo, prevede l’eliminazione del biofilm batterico dalle superfici dentali e l’eliminazione di tutti quei fattori che possono essere considerati irritanti o che possano favorire l’accumulo di placca.
Oltre ad una scrupolosa rimozione della placca dalle superfici dentali, molto importanti al fine del buon esito della cura risultano essere azioni di carattere informativo ed educativo sanitario come, ad esempio, l’insegnamento ai pazienti di una efficace igiene orale, così come la promozione di una informazione capillare nei confronti della popolazione al fine di renderla consapevole sull’incidenza che i fattori di rischio, legati all’insorgenza di questa patologia, hanno sui soggetti predisposti, proporzionalmente al grado di suscettibilità che ogni singolo individuo ha nei confronti della malattia.
Un altro punto decisamente importante e purtroppo a tutt’oggi, spesso trascurato, sta nella diagnosi precoce, da parte degli operatori sanitari, di quelli che costituiscono i fattori di rischio per la comparsa e lo sviluppo della parodontite e di quelle che sono le lesioni che l’accompagnano e la caratterizzano.
Importante, a tal fine, è l’instaurarsi di una collaborazione attiva e ben gestita tra il dentista e l’igienista dentale dove, entrambi e nell’ambito dei rispettivi ruoli, possano essere promotori di un valido e sinergico approccio sia in termini di profilassi che di trattamento, nel comune intento di contrastare questo disturbo in modo sempre più efficace.
In caso di sopravvenute lesioni parodontali e premessa una preliminare, attenta e scrupolosa terapia causale, la moderna parodontologia possiede molteplici terapie correttive di tipo chirurgico.
Importante sottolineare, nuovamente, che la terapia chirurgica, definita, appunto, terapia correttiva, cura i difetti provocati dalla malattia, ma non le cause che l’hanno provocata, né la malattia in sè.
Come si cura la parodontite?
Entrando nel merito del trattamento della parodontite possiamo distinguere, a grandi linee, una terapia causale e una terapia correttiva.
La prima si rivolge alla cura delle cause che determinano l’insorgenza della malattia, la seconda ha come obiettivo la correzione dei difetti da essa provocati.
Date queste premesse, nell’ambito della terapia causale, possiamo e dobbiamo agire su diversi fronti.
Dal momento che esiste una evidente relazione tra la presenza di placca dentale e la comparsa della parodontite, la terapia causale, dal punto di vista clinico-operativo, prevede l’eliminazione del biofilm batterico dalle superfici dentali e l’eliminazione di tutti quei fattori che possono essere considerati irritanti o che possano favorire l’accumulo di placca.
Oltre ad una scrupolosa rimozione della placca dalle superfici dentali, molto importanti al fine del buon esito della cura risultano essere azioni di carattere informativo ed educativo sanitario come, ad esempio, l’insegnamento ai pazienti di una efficace igiene orale, così come la promozione di una informazione capillare nei confronti della popolazione al fine di renderla consapevole sull’incidenza che i fattori di rischio, legati all’insorgenza di questa patologia, hanno sui soggetti predisposti, proporzionalmente al grado di suscettibilità che ogni singolo individuo ha nei confronti della malattia.
Un altro punto decisamente importante e purtroppo a tutt’oggi, spesso trascurato, sta nella diagnosi precoce, da parte degli operatori sanitari, di quelli che costituiscono i fattori di rischio per la comparsa e lo sviluppo della parodontite e di quelle che sono le lesioni che l’accompagnano e la caratterizzano.
Importante, a tal fine, è l’instaurarsi di una collaborazione attiva e ben gestita tra il dentista e l’igienista dentale dove, entrambi e nell’ambito dei rispettivi ruoli, possano essere promotori di un valido e sinergico approccio sia in termini di profilassi che di trattamento, nel comune intento di contrastare questo disturbo in modo sempre più efficace.
In caso di sopravvenute lesioni parodontali e premessa una preliminare, attenta e scrupolosa terapia causale, la moderna parodontologia possiede molteplici terapie correttive di tipo chirurgico.
Importante sottolineare, nuovamente, che la terapia chirurgica, definita, appunto, terapia correttiva, cura i difetti provocati dalla malattia, ma non le cause che l’hanno provocata, né la malattia in sè.
Soggetti a rischio parododontale: chi sono?
Si possono ammalare di malattia parodontale coloro che non osservano una buona pulizia dei denti e che presentano una predisposizione individuale alla malattia.
Altri fattori, quali il fumo e il diabete, possono favorire tale malattia.
Il fattore di rischio può essere sia un aspetto del comportamento dell’individuo, sia una caratteristica intrinseca del soggetto o genetica, sia un’esposizione ambientale o stile di vita. Vengono definiti fattori di rischio reali tutte le esposizioni direttamente correlate con l’insorgenza della malattia. I fattori di rischio reali sono rappresentati da condizioni patologiche o abitudini estremamente diffuse nella popolazione quali:
- fumo di tabacco
- diabete mellito
- genotipo 1 dell’interleuchina 1 (potente mediatore della cascata infiammatoria)
- modificazioni ormonali.
La plausibilità biologica di un’associazione fra fumo di tabacco e malattia parodontale si è fondata sui potenziali effetti di diverse sostanze collegate al fumo, come la nicotina, il monossido di carbonio e il cianuro di idrogeno. Il fumo, infatti, può influire sulla vascolarizzazione, sul sistema immunitario cellulare ed umorale, su quello infiammatorio, ed esercitare effetti attraverso la rete di citochine e molecole di adesione. Studi hanno dimostrato che nei fumatori i siti superficiali sono colonizzati da livelli maggiori di patogeni parodontali come Porphyromonas gingivalis.
Il diabete mellito rappresenta una malattia complessa che interessa quasi tutti gli organi ed apparati tra cui il cavo orale: tali complicanze sono dipendenti anche dal grado di controllo metabolico (diabete compensato o scompensato).
La parodontite si sviluppa nel 10-15% della popolazione in forma distruttiva: un contributo alla suscettibilità e alla gravità di tale patologia è dato dai geni modificatori di malattia.
Vi sono studi che dimostrano come l’Interleuchina 1 e il TNF (tumor necrosis factor) svolgano un ruolo importante nella patogenesi della parodontite: essi infatti sono potenti mediatori immunologici con proprietà proinfiammatorie e la loro presenza nel fluido crevicolare (del solco gengivale), che aumenta notevolmente nei soggetti con parodontite, scatena di fatto il riassorbimento osseo. In particolare esistono degli alleli (forme alternative di uno stesso gene) specifici, quali il genotipo 1 dell’IL 1, che rappresentano potenziali marcatori genici della malattia parodontale.
I cambiamenti ormonali a cui vanno incontro le donne in condizioni fisiologiche (pubertà, mestruazioni, gravidanza, menopausa) portano a variazioni significative nella gengiva, e più in generale in tutto il parodonto, rappresentando la gengiva un tessuto bersaglio per l’azione degli ormoni steroidei.
Quali sono i dieci consigli utili per capire se la vostra corona protesica ha qualche problema?
La qualità spesso non viene percepita, ma come riconoscere la “non qualità“?
- Dopo gli opportuni e quasi sempre necessari aggiustamenti in fase di controllo, la corona non deve risultare più alta degli altri denti, non deve “toccare prima”. Non c’è bisogno di “abituarsi”…
- I contatti con i denti vicini devono essere precisi, né troppo stretti (si deve poter usare il filo interdentale) né troppo larghi (il filo interdentale deve incontrare una buona resistenza). La mancanza di contatti adeguati è molto pericolosa, in quanto i residui alimentari possono rimanere intrappolati e causare carie e problemi alle gengive.
- Il filo interdentale non deve rompersi o sfilacciarsi. Se ciò accade significa che probabilmente c’è qualche grossolana imprecisione.
- Tutte le superfici devono essere perfettamente levigate. È fondamentale per evitare che si consumi il dente antagonista e per evitare piccole ferite ai tessuti molli.
- La gengiva a contatto con il bordo della corona non deve arrossarsi, gonfiarsi o sanguinare. Può essere segno di imprecisione del margine della corona o di posizione non corretta del margine stesso (troppo dentro alla gengiva).
- La corona non deve staccarsi accidentalmente, se è stata cementata con un materiale definitivo, così come il provvisorio non avrebbe dovuto staccarsi o rompersi facilmente. Se il vostro provvisorio era instabile verosimilmente lo sarà la corona definitiva.
- Se non è stato programmato, e non vi è stato comunicato previamente, non dovrebbero essere effettuati ritocchi (limature) dei denti naturali, sia dell’arcata opposta che dei vicini. In alcuni casi è necessario un ritocco dei denti naturali o di vecchi restauri, ma dovreste essere stati avvisati prima.
- Il colore della ceramica deve essere simile a quello dei denti vicini, in caso di differenze o di inestetismi dovete poterli esprimere e trovare una soluzione adeguata. Dovreste, su vostra richiesta, poter parlare anche con l’odontotecnico che ha realizzato la vostra corona.
- Potete mangiare senza problemi dal lato della nuova corona? Se così non è, se ci sono sensibilità alla pressione, addirittura al serramento dei denti, o se il cibo fibroso rimane intrappolato nel nuovo dente, c’è qualcosa che non funziona. A parte un primo momento una corona ben fatta deve entrare subito a far parte dell’ambiente e nella funzione orale.
- È stata eseguita una radiografia al termine della cura? Una radiografia finale è un utile controllo della completa rimozione del cemento di fissaggio, della precisione del margine protesico, della salute del dente pilastro e dei denti accanto. Sarà il punto di partenza dei controlli periodici che vi verranno programmati alla fine della cura.
Ricordatevi che la fine di una terapia protesica in realtà è l’inizio del percorso che vi consentirà di mantenere sia i risultati delle cure effettuate finora sia la salute dei vostri denti naturali: il programma di igiene professionale e di controlli periodici, individualizzato in base alle condizioni dei vostri denti, alle vostre abitudini di vita (per esempio se siete dei forti fumatori dovrete farvi controllare più spesso…) ed alle vostre capacità di effettuare una igiene domiciliare adeguata.
Il protesista che ha realizzato la vostra corona non ha curato “un dente”, ma ha curato voi, e di voi continuerà a prendersi cura, insieme agli igienisti.
Solo se si crea un rapporto umano duraturo con il gruppo costituito dal protesista, dall’igienista, dall’odontotecnico e dal personale dello studio, solo così le nostre terapie potranno avere veramente successo, perché il nostro successo è la vostra soddisfazione e la vostra salute nel tempo.
Cisti ed ascessi? Cosa sono? Come possono essere trattati?
Per ascesso si intende la formazione di una raccolta purulenta (pus) in una cavità neoformata conseguente ad una infezione batterica.
La terapia dell’ascesso è variabile ma generalmente, qualora la sola terapia medica non sia sufficiente, gli ascessi devono essere trattati chirurgicamente, così da favorire la fuoriuscita del materiale purulento e, quindi, la decompressione dell’area interessata, con conseguente eliminazione del dolore ed incremento della circolazione locale. Il drenaggio dell’ascesso si ottiene alternativamente con l’incisione dei piani superficiali cutanei o mucosi, con l’estrazione dentale, la terapia endodontica (anche chirurgica) o il trattamento parodontale del dente responsabile.
La cisti è una formazione patologica che presenta una forma generalmente sferica ed ha la tendenza ad un lento accrescimento a spese dei tessuti circostanti. L’aumento di volume di una cisti può portare al riassorbimento delle radici di denti contigui e dei tessuti ossei che la contengono. In altre occasioni si può verificare la dislocazione degli elementi dentali adiacenti. La posizione e la velocità di crescita di una cisti sono due dei fattori che il dentista prende in considerazione nel decidere se procedere alla rimozione chirurgica della stessa o monitorarla nel tempo tramite controlli clinici e radiografici periodici.
La rimozione chirurgica può avvenire tramite apicectomia (è un piccolo, ma di immensa precisione, intervento chirurgico rivolto a rimuovere la lesione peri-apicale nei denti malati in cui la terapia canalare tradizionale non è possibile).
In moltissimi casi, la rimozione del granuloma/cisti periapicale, si associa alla asportazione dell’apice radicolare.
L’indicazione più frequente per l’apicectomia è l’insuccesso di una terapia endodontica di un elemento dentario la cui conservazione è ritenuta necessaria.
TC CONE BEAM: quali vantaggi rispetto alle TAC di vecchia generazione?
Le differenze principali della TC Cone Beam rispetto alla TAC di vecchia generazione sono due:
- una MINOR DOSE RADIOGENA: la TC CONE BEAM sottopone il paziente ad una dose radiogena venti volte inferiore rispetto alla TAC di vecchia generazione. Infatti la dose radiogena viene misurata in microsievert: si passa da una media di 100 microsievert della TC CONE BEAM a circa 2000-2500 microsievert di una TAC di vecchia generazione.
- una MAGGIOR QUALITÀ dell’immagine per la riduzione della probabilità di distorsione in acquisizione. La TC CONE BEAM, inoltre, risulta molto più immediata la visualizzazione 3D dell’immagine stessa.
Negli ultimi anni, la TC CONE BEAM risulta essere necessaria sempre più anche per la corretta diagnosi di elementi che sembrerebbero (da immagini radiologiche 2D e dati clinici) recuperabili e viceversa. Infatti, l’American Academy of Oral and Maxillofacial Radiology (2012) suggerisce la cone beam CT come metodo d’elezione per la valutazione pre-chirurgica dei siti implantari, e per la valutazione di strutture anatomiche nobili.
Perché utilizzate il microscopio operatorio? A cosa serve?
Il microscopio operatorio, serve per specifiche branche dell’odontoiatria.
Risulta utile, e molto spesso indispensabile, in edodonzia: sia nei casi di denti con particolari caratteristiche anatomiche, sia nei casi di endodonzia chirurgica, ma anche per particolari interventi di chirurgia mucogengivale o di odontoiatria restaurativa, in cui, grazie alla mini-invasività, il risultato estetico diventa la conditio sine qua non per un risultato ottimale.
Sostituti ossei? Quali? Come? Perché?
La riabilitazione implanto-protesica fissa rappresenta una delle sfide più difficili per il chirurgo orale quando deficit di altezza e/o spessore dell’osso complicano le convenzionali procedure di posizionamento implantare.
I sostituto di osso sono una delle opzioni che il chirurgo orale ha per ottenere una corretta ricostruzione tissutale al fine del posizionamento implantare.
Per aumentare lo spessore o l’altezza dell’osso, è possibile utilizzare tre tipi di materiale:
Osso omologo
Di tipo membranoso: reperibile nella sinfisi mentoniera, nel cranio o all’interno del cavo orale; di tipo encondrale: prelevato dalla cresta iliaca.
Osso autologo
Proviene da individui della stessa specie, ma genotipicamente diversi.
Si ottiene da cadaveri opportunamente trattati e conservati nelle banche dell’osso.
Risulta attualmente (2015) disponibile sotto forma di tre stati fisici: congelato, secco congelato (liofilizzato), secco demineralizzato congelato.
Osso eterologo
Ne esistono di molte tipologie. Tra i più comuni vi sono il solfato di calcio, i biovetri, l’idrossiapatite, l’osso animale, fino ad arrivare alle più recenti nano-molecole di sintesi e alle cellule staminali.
L’odontoiatra che si occuperà di eseguire l’intervento, discuterà col paziente quale potrà essere la migliore tra le suddette opzioni.
Nel caso in cui si dovesse optare per la terza opzione (osso eterologo), utilizziamo osso bovino deproteinizzato, sterilizzato e purificato (Geistlich Bio-Oss): è costituito della sola parte minerale dell’osso di bovini di allevamenti altamente selezionati.
In fase di produzione ogni componente organica viene rimossa e rimane esclusivamente la struttura ossea composta da elementi del calcio. I biomateriali Geistlich non sono xenotrapianti bensì sono dispositivi medici con marchio CE. Gli xenotrapianti contengono tracce di cellule/tessuti/organi vitali di origine animale. Nei biomateriali Geistlich le componenti vitali sono completamente rimosse in fase di lavorazione, in conformità alla Direttiva Europea 93/42/EEC.
Membrane di collagene: a cosa servono? Quali si utilizzano?
Le membrane di collagene vengono impiegate già da molti anni nella rigenerazione tissutale guidata (Guided Tissue Regeneration – GTR) e nella rigenerazione ossea giudata (Guided Bone Regeneration – GBR): sono le tecniche chirurgiche da utilizzare quando il paziente ha perso la fisiologica struttura anatomica che risulta essere necessaria per gli scopi terapeutici prefissati.
Il principio di queste tecniche si basa sull’applicazione di una membrana che funga da barriera per separare le cellule rigenerative e a lenta proliferazione (come osteoblasti) dalle cellule epiteliali e del tessuto connettivo a rapida proliferazione. In questo modo diventa possibile una rigenerazione predicibile del tessuto perso.
Inoltre, le membrane trattengono e proteggono il materiale d’innesto durante l’aumento della cresta alveolare.
Ci sono diversi fattori che rendono il collagene il materiale migliore dal punto di vista biologico per produrre membrane barriera riassorbibili: infatti questo risulta essere chemiotattico per le cellule rigenerative quali gli osteoblasti, i fibroblasti gengivali e le cellule del legamento parodontale ed è altamente biocompatibile.
Le membrane di origine suina sono ampiamente utilizzate perché il collagene suino è molto simile a quello umano: Geistlich Bio-Gide® è costituita da collagene suino (tipo I e III) e presenta una struttura a due strati, un lato ruvido rivolto verso il tessuto osseo rigenerato e un lato liscio a contatto con il tessuto molle.
Questa particolare struttura bi-strato della membrana, contribuisce ad un’eccellente integrazione tissutale, pur mantenendo sufficientemente a lungo una funzione di barriera in grado di garantire una rigenerazione tissutale ottimale: infatti non impedisce quindi solo che il tessuto molle cresca all’interno del difetto, ma funge anche da guida per le cellule del tessuto duro e molle, nonché per i vasi sanguigni. Il tessuto endogeno si lega rapidamente alla rete di collagene poroso, mentre i vasi sanguigni crescono fra le fibre e lungo la superficie della membrana. Queste sono le condizioni ideali per un’efficace rigenerazione del tessuto duro e molle.
I biomateriali Geistlich non sono xenotrapianti bensì sono dispositivi medici con marchio CE. Gli xenotrapianti contengono tracce di cellule/tessuti/organi vitali di origine animale. Nei biomateriali Geistlich le componenti vitali sono completamente rimosse in fase di lavorazione, in conformità alla Direttiva Europea 93/42/EEC.
Cos’è una tasca parodontale?
Si possono ammalare di malattia parodontale coloro che non osservano una buona pulizia dei denti e che presentano una predisposizione individuale alla malattia.
Altri fattori, quali il fumo e il diabete, possono favorire tale malattia.
Riportiamo qui di seguito un caso clinico in cui è lampante la guarigione misurata mediante un sondaggio parodontale. Nella foto di sinistra, la sonda si approfondisce nella tasca parodontale, peraltro infiammata e sanguinante, per 10-11 millimetri; al contrario, nella foto di destra è evidente l’ottenimento di una guarigione tissulare dimostrata sia dall’assenza di sanguinolento al sondaggio, sia da un sondaggio fisiologico nel solco gengivale (2-3 millimetri).
Chirurgia Plastica Parodontale Rigenerativa (mediante sostituti ossei e proteine derivanti dalla matrice dello smalto) a livello dell’elemento 4.6.
Terapia chirurgica o terapia causale: cosa è?
Le patologie delle gengive si trattano attraverso la rimozione di placca e tartaro dalle superfici dentali con trattamenti non chirurgici (levigatura delle radici) e chirurgici (sollevamento di lembi gengivali e levigatura delle radici).
La strumentazione parodontale sopra e sotto gengivale essenzialmente mira a ridurre la carica batterica ed a creare condizioni ambientali compatibili con lo stato di salute del paziente. Inoltre è propedeutica ad eventuali trattamenti chirurgici ritenuti necessari dall’odontoiatra in fase di rivalutazione dello stato di salute parodontale. È efficace anche nell’ottenere, in caso di intervento chirurgico, la riduzione del sanguinamento in fase operatoria, la riduzione del tempo chirurgico, la riduzione dei tempi di guarigione, una maggiore facilità di sutura per una migliore qualità del tessuto ed una minore formazione del tessuto di granulazione durante il processo di guarigione.
Cos’è la chirurgia plastica parodontale?
La chirurgia mucogengivale ha come obiettivo la correzione di quelle alterazioni tissutali che riguardano i tessuti molli.
Tanto per citarne alcune ci riferiamo alla correzione delle pseudo tasche, così come a quegli interventi riferiti a correggere alterazioni della forma, posizione ed andamento dei margini gengivali, oppure atti a modificare, incrementandola o riducendola, la dimensione della banda di tessuto gengivale posta all’emergenza cervicale della corona dentale.
Nel caso in cui la patologia, oltre ad interessare i tessuti molli si estenda sino a coinvolgere i tessuti duri, la chirurgia mucogengivale, pur non agendo direttamente su questo distretto tissutale (i tessuti duri), può essere, comunque, indicata allo scopo di ottenere un accesso migliore, a fini operativi, alle superfici ossee sottostanti: il lembo d’accesso (OFD: Open Flap Debridement).
È da tenere presente che la chirurgia mucogengivale, pur non agendo direttamente sui tessuti ossei può indirettamente concorrere a migliorarne le condizioni.
Cosa sono gli intarsi? Perché un’otturazione non basta?
Gli intarsi sono delle ricostruzioni eseguite dall’odontotecnico in laboratorio: viene definito restauro indiretto proprio perché è realizzato “a tavolino” al di fuori della bocca del paziente e successivamente con una metodica di “incollaggio” (cementazione) adesiva viene “unito” al dente precedentemente preparato (ricostruzione preprotesica/build up).
In entrambe le soluzioni terapeutiche (ricostruzioni dirette o indirette), la completa rimozione del tessuto demineralizzato ed infetto rappresenta lo scopo della terapia conservativa. Il ripristino della cavità ottenuta può essere eseguito con restauri diretti (otturazione) od indiretti (intarsio).
La scelta terapeutica dipende da fattori clinici (presenza o meno di smalto a livello del gradino cervicale, configurazione e complessità della cavità, localizzazione ed accesso, numero di restauri nella stessa arcata, rapporti con i denti approssimali ed antagonisti, età del paziente) e soggettivi del paziente (accettazione del provvisorio, richieste estetiche più o meno importanti, problemi di tempo e distanza, disponibilità economiche).
Risulta, ovviamente, essere fondamentale la dimensione della cavità residua.
- Nella terapia di lesioni cariose di limitata estensione è preferibile l’esecuzione di restauri diretti.
- Di fronte a lesioni cariose medio-grandi è possibile optare per restauri indiretti (intarsi) che consentono un miglior ripristino morfologico dell’elemento dentale compromesso. Ricostruendo il dente con un intarsio la superficie masticatoria (superficie occlusale) può essere ristabilita in armonia con l’andamento della superficie masticatoria di denti che si trovano nell’arcata dentaria opposta e i punti di contatto con i denti vicini possono essere ricreati perfettamente evitando così tutti gli inconvenienti che derivano dagli accumuli di cibo tra un dente e l’altro.
Cos’è un ritrattamento endodontico? Perché è necessario farlo?
Occasionalmente un dente che è stato sottoposto a trattamento endodontico può non guarire oppure continuare a dolere nonostante la terapia: questo può avvenire dopo mesi o anche anni. Quando ciò accade, il dente può, spesso, essere salvato con un secondo trattamento endodontico: il ritrattamento.
Perché occorre ritrattare un dente?
Il trattamento endodontico viene eseguito perché la polpa, comunemente chiamata dai pazienti “nervo”, è stata irrimediabilmente danneggiata. Sebbene la polpa sia stata rimossa e sostituita con un materiale da otturazione, il dente deve essere ritrattato per problemi dovuti a una o più delle seguenti cause:
· Incompleta detersione ed otturazione dei canali
Perché il trattamento endodontico (devitalizzazione) abbia successo i canali delle radici devono essere interamente detersi ed otturati. Alcuni canali sono, a volte, così stretti, calcificati o curvi che i più piccoli strumenti usati per ripulirli non riescono a percorrerli. Altri canali sono così piccoli che non sono facilmente individuabili, oppure alcuni canali sono otturati in maniera approssimativa.
· Trauma radicolare
Un nuovo trauma può aver causato la frattura della radice e un’infezione o una cisti possono essersi sviluppate all’apice (punta) della radice.
· Nuova carie
Una nuova carie può causare la distruzione della corona del dente ed esporre il materiale da otturazione del canale ai batteri ed alla saliva causando una nuova infezione dei canali delle radici. Una frattura o un’incrinatura dell’otturazione o il distacco, anche solo parziale, di una corona o di un perno radicolare possono causare i medesimi danni.
Cosa avviene durante il ritrattamento?
Il dente deve essere riaperto, i canali nuovamente detersi ed otturati. Nei casi in cui non sia possibile tutto ciò (canali curvi, perni nei canali, etc.) può essere necessaria un’incisione della gengiva che permette di esporre l’apice del dente al fine di poterlo sigillare (apicectomia ed otturazione retrograda).
Il paziente può avere male?
Prima, durante e dopo il trattamento il dente può fare male: in questi casi una copertura anestetica intraoperatoria ed una terapia farmacologica appropriata in genere risolvono il problema dolore. Questo è, comunque, un inconveniente che non pregiudica il buon esito della terapia.
Se il primo trattamento è fallito, può il paziente essere sicuro che il ritrattamento avrà successo?
Non ci sono, naturalmente, garanzie certe. Molte volte il ritrattamento è l’unica alternativa all’estrazione. L’Odontoiatra fornirà sicuramente tutte le informazioni e le alternative terapeutiche affinché il paziente possa decidere in completa tranquillità e consapevolezza.
Quali sono le alternative al ritrattamento?
L’estrazione del dente è solitamente l’alternativa. Niente, per ora è migliore e più duraturo del dente naturale.
Quanto costa il ritrattamento?
Generalmente la tariffa per il ritrattamento è più elevata rispetto a quella di un normale trattamento (devitalizzazione) di un dente. Ciò è dovuto alle difficoltà ed al maggior tempo operativo richiesto per portare a buon fine la terapia.
Cos’è una corona protesica?
La corona protesica, chiamata spesso impropriamente “capsula“, è un “guscio” che permette la ricostruzione completa della porzione esterna, quindi visibile, del dente, riproducendone forma e colore.
È ancorata (con cemento o viti) alla porzione residua del dente (la radice) o ad un eventuale impianto.
Più corone protesiche possono essere unite insieme e, ancorate ai denti residui, permettono la sostituzione di denti mancanti: in questo caso si parla di ”ponte”.
Esistono differenti materiali per la realizzazione di corone (ceramiche, resine, metalli etc, etc). Le loro caratteristiche estetiche e di resistenza sono molto variabili. La scelta dei materiali andrà quindi eseguita con attenzione del Protesista, rispetto agli obiettivi della terapia. Per esempio quando il rischio di frattura è basso, potranno essere impiegati con tranquillità materiali più belli, ma più fragili.
Leghe metalliche (di metalli nobili o non nobili) e differenti materiali ceramici possono essere utilizzati singolarmente o anche combinati tra loro per la realizzazione “a strati” della corona.
Curare l'emicrania con la chirurgia
L’emicrania è una patologia che colpisce tra i sette e gli otto milioni di italiani (circa il 15 per cento della popolazione), con attacchi che possono anche essere molto forti, durare più giorni, e letteralmente rovinare la vita, al punto che nel 2020 la legge italiana ha riconosciuto la cefalea cronica come una malattia sociale invalidante.
Le cause scatenanti possono essere psicologiche (stress), ormonali (per esempio legate al ciclo mestruale), fisiche (traumi, cambiamenti, abuso di alcol o altre sostanze), ma le dinamiche profonde dell’emicrania sono ancora sconosciute.
Si è osservata una correlazione tra gli attacchi di cefalea e l’irritazione delle diramazioni del nervo trigemino che attraversano l’arcata sopracciliare. La contrazione del muscolo corrugatore, in pratica, irrita il trigemino, instaurando un circolo vizioso che si traduce nell’attacco di emicrania.
Da qui l’idea di utilizzare la tossina botulinica per ridurre la pressione del muscolo corrugatore, una procedura ormai consolidata e ben documentata nella letteratura scientifica. Il passo successivo, per i pazienti che non vogliono ripetere le iniezioni periodiche di tossina botulinica, e che hanno bisogno di un trattamento definitivo per l’emicrania, è quello di intervenire con la microchirurgia per interrompere il muscolo corrugatore.
Nel nostro studio abbiamo messo a punto un protocollo di cura che parte dall’impiego della tossina botulinica come mezzo diagnostico, per individuare con precisione le esigenze di ciascun individuo (dovute al tipo di mal di testa e alla conformazione anatomica specifica della zona interessata), per poi pianificare adeguatamente l’operazione di microchirurgia al fine dare sollievo al paziente.
Cos'è il Lifting temporale?
Un volto tonico, uno sguardo fresco, gli occhi bene aperti, l’arcata sopraccigliare alta e ben delineata: sono dettagli che immediatamente richiamano la bellezza, la solarità, la positività di una persona.
Uno degli interventi di chirurgia plastica estetica più richiesti è il lifting temporale, cioè l’operazione che permette di correggere inestestesimi nella parte superiore del volto (tecnicamente si chiama il terzo superiore), dovuti all’inevitabile trascorrere del tempo, o anche a fattori genetici. Si “tirano su” i tessuti nella zona delle tempie e del contorno occhi, e si ottiene un ringiovanimento dello sguardo, si riporta in alto l’arcata delle sopracciglia, si attenuano o eliminano le zampe di gallina.
Per contrastare tutto questo, esiste un approccio di medicina estetica e uno chirurgico. Il primo prevede iniezioni di grasso (lipofilling) e acido ialuronico mirate a ripristinare volumi sottocutanei persi con il tempo. Sono interventi che riportano il volto all’aspetto florido e tonico perso con gli anni. La chirurgia plastica estetica invece permette di rialzare i tessuti, agendo più o meno in profondità a seconda delle esigenze specifiche del paziente.
Cura della Calvizie
Prima di scegliere una cura è importante capire esattamente qual è il problema.
Il campanello d’allarme non è tanto la caduta dei capelli, che può essere fisiologica e non preoccupante, quanto l’assottigliamento. Se si notano i capelli in sofferenza è bene intervenire tempestivamente per cercare la causa e trovare il rimedio.
«L’approccio corretto parte da analisi del sangue specifiche per la tricologia. E poi indagini via via più mirate, come la triscopia, la biopsia del cuoio capelluto… I capelli possono essere in sofferenza per cause ormonali, genetiche, problemi di alimentazione… Ancora più specifico è l’esame genetico, siamo tra i pochi in Italia a poterlo fare direttamente nel nostro studio. Eseguito nel massimo rispetto della privacy, ci dà informazioni estremamente utili per capire lo stato del sistema ormonale di ciascun individuo, scoprire allergie e intolleranze magari non conosciute che possono influire sulla salute dei capelli, e fornisce anche indicazioni precise per dosare i farmaci, identificare scientificamente una cura su misura per le esigenze di ciascun paziente».
La maggior parte degli uomini e praticamente tutte le donne risolvono così i problemi tricologici, senza chirurgia.
Solo se non sono sufficienti gli interventi medici, è il caso di ricorrere alla chirurgia per rinfoltire la capigliature. «Ma anche qui il trapianto va studiato e pianificato con estrema attenzione».
Cos'è il Nefertiti lift?
Il Nefertiti Lift fa proprio questo, tramite infiltrazione strategica e seriale di botulino che permette di allentare la tensione del platisma in corrispondenza delle bande platismatiche, di conseguenza, i “cordoni si riducono”. Allo stesso modo, iniettato sul margine mandibolare, il botulino riduce l’attività dei muscoli che tirano verso il basso i tessuti molli della parte inferiore del viso.Risultato: un collo più liscio che presenta una silhouette slanciata con le bande platismatiche mitigate e un profilo mandibolare meglio definito e dall’aspetto più giovane, in linea con quello della Regina Nefertiti.
L’esperienza del medico è sempre fondamentale, in questo caso ancora di più, se possibile, perché una conoscenza approfondita dell’anatomia del viso e del collo permette di individuare con precisione i siti di iniezione.
In genere, gli effetti del Nefertiti Lift iniziano a vedersi dopo una settimana o dieci giorni dopo il trattamento, e dureranno per un periodo compreso tra i tre e i sei mesi, dopodiché possono essere ripetuti.
Il doppio mento
Il doppio mento è un abbondanza di tessuto: pelle, grasso o entrambi. È un difetto estetico, come dicevamo, che nella maggior parte dei casi non comporta altri disturbi se non quello di creare un’immagine che può non soddisfare il proprio gusto.
Ovviamente, la prevenzione è sempre l’arma più efficace per mantenere un aspetto tonico. Mangiare bene, evitare fumo, troppo sole, troppo freddo. Mantenersi in forma con esercizio fisico aiutano a evitare che si formi anche il doppio mento. Ma se nonostante ogni sforzo, genetica e tempo vincono comunque, allora si passa al piano B.
Le vie sono tre, da valutare, come sempre caso per caso.
Cool sculpting
Cioè il trattamento di criolipolisi che permette di agevolare il naturale processo di morte ed eliminazione delle cellule adipose. È un trattamento medico non chirurgico che dà ottimi risultati nel tempo, ed è praticamente indolore. Il numero di trattamenti è da definirsi a seconda delle necessità, ma dopo ogni trattamento si torna immediatamente alla vita quotidiana.
Liposuzione
O liposcultura, invece consiste nell’aspirazione mirata del deposito di grasso in eccesso, ed è più adatta nel caso di depositi consistenti. È un’operazione che viene fatta in anestesia locale, con leggera sedazione. Per qualche giorno è richiesto un bendaggio e i piccoli ematomi lasciati dalle cannule spariscono rapidamente.
Lifting
È l’operazione che permette di rimodellare con più efficacia e precisione l’intera zona del collo, sia nel caso di doppio mento da accumulo di grasso, sia nel caso di cedimento della pelle. Una soluzione chirurgica, quindi impegnativa, ma che garantisce un risultato molto soddisfacente per i pazienti.
Cos'è la Blefaroplastica?
Lo sguardo è uno degli elementi fondamentali dell’estetica di una persona. E contribuisce in modo essenziale nella comunicazione non verbale. È una verità talmente radicata da sconfinare nella banalità, ma è così.
Per questo, tanta importanza viene data agli occhi, esaltati con il trucco per le donne (e non solo), osservati con attenzione dagli uomini (e non solo). E per questo tra gli uomini (e non solo) sono molto richiesti interventi per il ringiovanimento dello sguardo, giustamente convinti che un uomo con gli occhi vispi abbia più possibilità di affermarsi sul lavoro, o conquistare l’amore, di un coetaneo con la palpebra calata, la borsa appesantita o l’occhiaia infossata.
Sentirsi a posto per stare bene
Uno sguardo più fresco e più riposato è istintivamente associato a una persona più giovane, dinamica, positiva. Un intervento di chirurgia o medicina volto a curare l’estetica dello sguardo, dunque, rientra pienamente nel numero di aiuti che si possono dare a una persona per aumentare il suo benessere generale, che secondo me è il vero scopo della mia professione.
L’intervento chirurgico principe per ringiovanire uno sguardo è la blefaroplastica, che prevede la rimozione dell’eccesso di pelle che si forma sulle palpebre, inevitabilmente con il passare degli anni, o anche in gioventù per costituzione della persona.
L’intervento può riguardare sia le palpebre superiori, che scendendo lasciano sempre l’occhio semichiuso, sia su quelle inferiori, che scendendo lasciano troppo scoperto l’occhio.
La raccomandazione per i chirurghi è quella della massima attenzione: anche se l’operazione non è di per sé complessa, nasconde delle insidie, perché va a toccare una parte estremamente visibile e importante. Per i pazienti, di conseguenza, la raccomandazione è sempre quella di rivolgersi a professionisti di comprovata esperienza.
Attenzione a non eccedere
Sulle parte superiore, bisogna stare attenti a non eccedere nell’eliminazione della pelle in eccesso, per non compromettere la funzione della palpebra, che deve proteggere l’occhio, permettendo al velo lacrimale di mantenere l’umidità all’interno dell’occhio.
Sulle palpebre inferiori, l’approccio deve essere ancora più rispettoso, perché in questo caso una resezione eccessiva può portare a una malposizione di quello che è definito il margine palpebrale. L’eccessiva recessione della palpebra inferiore è uno degli errori più comuni e meno riconosciuti del settore, perciò è un rischio subdolo.
Rispettare l’anatomia del paziente
L’intervento in sé, come dicevamo, non è complesso, viene eseguito in anestesia locale, eventualmente con una sedazione, e generalmente può essere fatto a livello ambulatoriale, senza ricovero, ma richiede maestria e conoscenza precisa dell’anatomia.
Siamo estremamente attenti a rispettare il muscolo orbicolare e l’integrità della palpebra. Facciamo una piccola resezione di cute, con una tecnica che si chiama minipinch, un approccio minimale, mininvasivo, che garantisce una risoluzione immediata. Già al terzo o quarto giorno i punti vengono rimossi. Al massimo può rimanere un piccolo livido che sparisce nel giro di una settimana. Per l’esposizione al sole o lampade solari è invece raccomandato di aspettare un paio di mesi.
Le borse e la vita
Infine nel caso delle comuni e generalmente fastidiose borse, praticamente inevitabili dopo una certa età, le rimuoviamo per via transcongiuntivale, cioè rispettando la parete palpebrale. In un certo senso andiamo a rimuovere l’intonaco, per così dire dalla parte esterna, e la carta da parati dalla parte interna, ma aggirando quello che è il muro, cioè il muscolo, quindi rispettando l’integrità della palpebra inferiore.
Con questa tecnica, mininvasiva e rispettosa, il paziente si ritroverà rapidamente con uno sguardo ringiovanito che darà nuova freschezza alla sua persona.
Cos'è il Full face?
Oltre a stanchezza e stress, per cui ciascuno deve fare il suo per evitarli, il tempo che passa, le intemperie, il sole sono i nemici della pelle. E la pelle del viso è sempre lì, esposta. La prevenzione è la prima arma: creme idratanti di qualità, trucchi e struccanti idonei non devono mancare nella routine quotidiana. Per un intervento riparatore più intenso, nel mio studio propongo un trattamento “full face” con filler a base di acido ialuronico. “Full face”, cioè che coinvolge in un colpo solo tutta la faccia, dalla fronte al mento, con una cura mirata a migliorare ciascun aspetto del viso con la soluzione più adatta.
Reidratare in superficie
Con un acido ialuronico non troppo denso, iniettato negli strati meno profondi della pelle, si possono ridurre le rughe intorno agli occhi, le mitiche e odiate zampe di gallina, o intorno alla bocca, o anche nella fronte. Sono iniezioni che aiutano la pelle a reidratarsi, distendersi, riprendere elasticità e a riempirsi, se si è assottigliato lo strato di grasso che dà supporto.
Riempire in profondità
Il problema però potrebbe anche essere più in profondità, e la faccia potrebbe apparire “svuotata” perché con il passare degli anni si è via via persa la prominenza ossea che dà struttura al volto. In questo caso, si può intervenire con un acido ialuronico con una densità maggiore, iniettato a livello periosteo. Si ripristina il volume osseo, e di conseguenza il drappeggiare florido della pelle in superficie, in tutti i punti dove serve: tempie, zigomi, mento, mandibola, gote…
Mezz’ora e via come nuove
Non sono interventi chirurgici, ma trattamenti estetici che devono essere ripetuti periodicamente, sempre da un esperto, perché buona parte della riuscita dipende dall’esperienza di chi pratica le iniezioni. Ma basta circa una mezz’ora per avere una risposta immediata che poi si assesta nel tempo. E la volta successiva, dopo circa un anno, sarà sufficiente un intervento con molto meno filler per rinfrescare il risultato.
E “guardiamoci in faccia” sarà un frase da pronunciare con la serenità e la sicurezza di chi è orgoglioso di quello che mostra.
Cos'è il Mini lifting MUST
MUST, un acronimo inglese che sta per Minimal Undermining Suspension Technique (Tecnica sospensiva con minimo scollamento). È un intervento di “mini-lifting” che ho sviluppato e propongo alle mie pazienti (ma anche gli uomini non disdegnano, tutt’altro) tra i quaranta e cinquant’anni, che hanno ancora la pelle elastica, ma che iniziano a vedere segni di cedimento non graditi. Si tratta di un lifting meno invasivo e drastico di quello cervico-facciale, che resta necessario per uomini e donne più in là con gli anni, con la pelle del volto che ha perso elasticità.
Zigomi in alto
Il MUST solleva gli zigomi quel tanto che basta per ridare freschezza al viso. Avete presente quando davanti allo specchio, o a un’amica complice, con due dita sollevate la pelle degli zigomi per riportarli su, da dove sono scesi nel corso degli anni? Con il MUST si ottiene esattamente quel risultato.
Meno tempo, meno tagli
Il vantaggio del mini-lifting è dato dalla drastica riduzione di tempi di intervento e dei tempi di recupero post operatorio. L’operazione prevede due minimi tagli, non più grandi di un paio di centimetri, all’altezza delle tempie. Da qui, con lo strumento specifico (anche lui chiamato MUST: Minimal Undermining Suspension Tool), il chirurgo opera per risollevare i tessuti degli zigomi che hanno ceduto. Le cicatrici, piccolissime, sono invisibili perché nascoste dai capelli (altro grande vantaggio), e a livello del volto non ci sono segni, se non un ringiovanimento immediato.
Uno strumento per stare meglio
Sono molto orgoglioso, lasciatemelo dire, di essere l’ideatore di questa nuova tecnica, e dello strumento indispensabile per eseguirla, perché risponde a un’esigenza diffusa tra molti clienti degli studi di chirurgia estetica di tutto il mondo, quello di ringiovanire il volto prima che sia necessario un più complesso lifting facciale profondo.
L’obiettivo della chirurgia estetica, come dicevo, è contribuire al benessere di una persona, e un’operazione come il MUST fa esattamente questo.
Cos'è il Botulino?
La tossina botulinica è da decenni la via maestra per eliminare (temporaneamente) le cosiddette rughe d’espressione, cioè quelle che si formano sul viso quando i muscoli “arricciano” la pelle. È un modo semplice, immediato e reversibile (va rifatto da due a quattro volte all’anno) per rinfrescare il volto. Un regalo che ci si può fare per sentirsi meglio con se stessi, ma anche un investimento per avere più successo sociale e professionale.
Dallo strabismo alle rughe
Nel corso degli anni, la tossina botulinica (Botox è il nome commerciale di uno specifico prodotto farmaceutico, non in vendita in Italia, diventato nome di uso comune) si è affermata in medicina estetica come la via maestra per lisciare la fronte, tecnicamente si chiama il terzo superiore del volto, abbattendo gli interventi di chirurgia estetica nella stessa zona.
Ma è interessante ricordare che il primo impiego approvato è stato per la cura dello strabismo. Era il 1989, e solo nei primi anni 2000 è arrivato il protocollo di applicazione per lisciare le rughe di espressione.
Mentre esplodeva l’uso estetico (sempre più clienti e sempre più giovani lo richiedono come azione preventiva contro le rughe), la ricerca medica è proseguita. Oltre allo strabismo, oggi il botulino viene usato per controllare l’eccessiva sudorazione di mani, piedi e ascelle (iperidrosi), per curare le ragadi, per controllare l’eccessiva produzione sebacea della cute, per curare i casi più gravi di emicrania (di questo nello specifico parleremo in un’altra occasione) e anche per il trattamento delle cicatrici: perché blocca la formazione di microvasi che creano il turgore del tessuto cicatriziale, e dunque la formazione di cicatrici ipertrofiche.
Come funziona
La tossina botulinica blocca il rilascio l’acetilcolina, la sostanza chimica prodotta dall’organismo che trasmette gli impulsi nervosi ai muscoli, regolandone la contrazione e, quindi, il movimento. In sostanza, la tossina botulinica blocca la trasmissione degli stimoli del sistema nervoso che comandano ai muscoli di contrarsi, di conseguenza i muscoli si rilassano e, come dicevamo, se si tratta di muscoli di espressione non “arricciano” la pelle. Ma l’aceticolina è anche responsabile del controllo della sudorazione e della produzione di sebo, dunque lo stesso meccanismo è utile per ridurre l’iperidrosi (eccessiva sudorazione di mani, piedi e ascelle) o rendere più secca una pelle o una cute eccessivamente grassa.
Cosa si può fare con il botulino
L’applicazione più tipica in medicina estetica è la distendsione delle rughe glabellari, cioè i solchi verticali fra le sopracciglia. Ma non è l’unico, ogni ruga d’espressione può essere trattata e ridotta:
- le rughe orizzontali che segnano la fronte quando si alzano le sopracciglia;
- le “zampe di gallina” ai lati degli occhi;
- le rughe del contorno occhi dovute all’azione dei muscoli;
- le “Bunny lines”, cioè le linee verticali ai lati del naso, da “coniglietto”;
- le rughe orizzontali sul naso;
- le rughe verticali della bocca (il codice a barre);
- le rughe del collo dovute all’azione del platisma, il grande muscolo piatto che sta al lato del collo.
Sicuramente avrò dimenticato qualcosa, ma la regola è semplice: se una ruga è dovuta all’azione di un muscolo, il botulino può alleviarla. Niente invece può fare per le rughe dovute alla gravità (per esempio per le palpebre che scendono), o alla perdita di elasticità della pelle (a causa, per esempio, di troppo sole). In questi casi, servono prodotti che ringiovaniscano la pelle, filler specifici per nutrirla e stimolare la produzione di nuovo collagene, oppure interventi chirurgic
La misura è fondamentale
Spesso si sentono critiche all’uso della tossina botulinica, che in estrema sintesi sono “toglie le rughe, ma blocca l’espressività”. Il botulino è un prodotto estremamente efficace, e che può essere dosato con grandissima precisione: è vero che può portare alla totale paralisi (temporanea) di un muscolo, ma solo se si eccede nella dose. Un buon medico conosce la misura, e sa regolare l’intervento per ottenere il risultato desiderato. Le maschere inespressive non le vuole nessuno.